Incendio al catasto

Incendio al catasto è la seconda fatica letteraria di Carlo Montella, scritto e ambientato
in un 1956 che pare straordinariamente attuale. Nel romanzo l’autore mette in scena un’esilarante galleria di pavidi, inetti, fannulloni e imboscati còlta nelle sue miserie quotidiane, ma anche nella parte più intima e fragile. Impossibile non partecipare, sbigottiti ed esilarati, alle vicende degli impiegati attorno cui ruota la trama. Tuttavia, ogni sorriso ha un retrogusto acre perché getta luce sulle squallide condizioni di un’intera categoria (il catasto è metafora di un mondo più vasto), sul patetico servilismo tributato ai superiori, sulle assurde pastoie dell’elefantiaca macchina burocratica. È insomma la farsa dei grandi e piccoli passacarte, l’esibizione dei loro tic e delle manie, il museo delle truppe arruolate nei primi, corrosivi episodi di Fantozzi, epopea satirica di una categoria umana incapace di tutto.

«Si accorgeva, tornando a casa, di non avere appetito come al ritorno dall’ufficio, e pensava, ragionando fra sé, che ciò era naturale in fondo: anche le bestie, distolte dalla fatica, s’annoiano e finiscono per ammalarsi. Però un impiegato è un impiegato perché va in ufficio tutte le mattine e firma il registro di presenza all’entrata e all’uscita, e questo è l’unico modo per lui di sentirsi vivo, di sentirsi un uomo. Cos’è un impiegato, fuori del suo ufficio?».

Apparato critico a cura di Ambra Siciliano.

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Carlo Montella nasce a Napoli nel 1922. A quindici anni si trasferisce a Pisa dove si laurea in Lettere, insegna e diventa dirigente scolastico. Esordisce nei “Gettoni” di Vittorini nel 1953 con I parenti del sud, che vince il Premio Viareggio Opera prima grazie anche a una felicissima vena satirica. Con la stessa inclinazione e un tocco neorealista muove una critica corrosiva al servilismo burocratico nel romanzo Incendio al catasto, tradotto perfino in Russia e definito da Pasolini e Ungaretti, in omaggio all’opera di Gogol’, “Il cappottone”. Mentre collabora a giornali e riviste tra cui «Il Mondo», «Il Contemporaneo», «Il Ponte», «Tempo presente», «Il Messaggero» e «La Nazione», firma altri cinque romanzi
e si dedica alla divulgazione dei classici fino alla scomparsa, nel 2010.
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Incendio al catasto, realizzato su cartoncino ecologico e carta interna extralusso,
è in tutte le librerie, negli store online, oppure acquistabile sul sito della casa editrice,
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L’uomo che incontrò se stesso

L’uomo che incontrò se stesso è la commedia che ha consacrato Luigi Antonelli nella stretta cerchia dei monumenti del teatro italiano. Rappresentata per la prima volta il 23 maggio del 1918 al teatro Olympia di Milano, è l’avventura fiabesca e ironica di un uomo, Luciano de Garbines, a cui è data l’occasione di rimediare a una cantonata coniugale di vent’anni prima. Ma il sangue, sovente, fa ripetere gli sbagli, e rischia di viziare anche il senno di poi, che sposa a meraviglia il romanzesco con il reale, trasformando la fantasia in un gioco di beffe e di sentimenti quanto mai concreto. In questa suggestiva confluenza l’amor sacro e l’amore profano si accavallano, in una vicenda che fotografa in modo folgorante l’animo umano: «Ancora io non riesco a persuadere quell’uomo che la moglie l’inganna! Sapevo che avrei dovuto faticare, perché è da un bel pezzo che ci conosciamo, io e lui, però non avrei mai creduto di dover lottare contro un individuo simile! Quan­do poi penso che infine si tratta di persuadere me stesso, mi domando se si può essere più bestia di così». Riuscirà,
il protagonista, a convincere il suo doppio a correggere gli errori di un tempo, oppure l’esperienza si rivelerà anch’essa un’illusione, forse la più terribile di tutte? L’originale provocazione contenuta ne L’uomo che incontrò se stesso piacque a Gramsci: «Questa fine satira della vita ha stupito il pubblico a cui, da tempo, non si ammanniscono lavori atti a sviluppare un pensiero» che riconobbe gli intenti dell’autore, per il quale ogni «piccola vicenda deve aprire un mondo dinanzi agli occhi dello spettatore». E nell’opera il registro fantastico è stemperato dall’ironia: dai lividi toni del primo atto si scivola nella pochade
e nella farsa, a loro volta annegate in un lucido, disperato disincanto. Una commedia
che mette in dubbio l’esperienza e costringe a interrogarsi sul peso effettivo
di essa nel destino, in un nuovo modello drammatico e antropologico.

Apparato critico a cura di Francesca Benazzi ed Angela Di Maso

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Luigi Antonelli nasce nel 1877 a Castilenti, una piccola frazione del comune di Atri in provincia di Teramo, compie studi regolari e corona il percorso frequentando i corsi di Medicina e Lettere presso l’università di Firenze. Insieme al pittore Basilio Cascella fonda “L’illustrazione abruzzese”, ed entra in contatto con alcuni degli autori e intellettuali più in voga dell’epoca, su tutti il conterraneo d’Annunzio; quindi si trasferisce in Argentina per alcuni anni, occupandosi di giornalismo. Giornalista e narratore, è stato uno dei commediografi che nel primo Novecento cambiarono il linguaggio del teatro italiano. Fedele ai princìpi del grottesco, contribuì a far recepire il messaggio pirandelliano fra essere e apparire con un’amara, fantasiosa satira delle illusioni. Fondatore de “L’illustrazione abruzzese”, direttore de “La patria degli italiani” a Buenos Aires, collaborò con le maggiori riviste drammaturgiche fra le due guerre mondiali. Nel 1931 divenne critico teatrale del “Giornale d’Italia”, ruolo che ricoprì fino alla morte. Oltre a L’uomo che incontrò se stesso firmò altre opere di grande successo come Il maestro, la farsa Il barone di Corbò, divenuta poi un film, La donna in vetrina, e la commedia allegorica L’isola delle scimmie. Il successo continuerà a baciare i lavori dell’autore abruzzese finché avrà vita. Il 21 novembre 1942, quando spirò, nella amata Pescara, la sua opera più famosa raccoglieva l’ennesima messe di applausi e consensi al Teatrul Național din București
(teatro Nazionale di Bucarest) completamente esaurito per l’evento.

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L’alunno

L’alunno, o tutto ciò che la scuola non ha il coraggio di rivelare è una testimonianza diretta
in forma di saggio divulgativo, scritto con uno stile immediato e privo di tecnicismi,
di quel fastidioso politichese di cui spesso vengono infarcite le pubblicazioni a tema.
L’autrice offre un’esperienza dalla parte degli studenti e da quella dei docenti,
finalmente parificate nell’analisi della realtà in cui si incontrano, e una lucida esposizione
di rimedi a magagne che il sistema denuncia da decenni senza mai correggere.
Un viaggio nella “insostenibile profondità delle empatie” per capire davvero
le ragioni del disagio giovanile e prevenirle, un’escursione senza giudizi somma­ri,
con la partecipazione di chi si mette alla pari, prende in esa­me le fragilità e lavora sui dubbi,
perché l’esercizio della domanda è l’unico sentiero che porta alla consapevolezza.
«L’errore più grande che fa la scuola è imporre dall’alto un decalogo, un programma,
e chiedere di accettarlo supinamente. Non sono forse, gli studenti, maturandi? Non è forse,
l’adulto, maturo, e si comporta alla luce delle esperienze accumulate nel corso della storia?
È facile allora capire come la pretesa che sia lo studente a piegarsi alla procedura,
anziché la procedura a essere pensata in funzione dello studente, por­ti a clamorosi disastri».

Apparato critico a cura di Riccardo De Rosa, con una nota di Marco Vagnozzi.

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Lucrezia Lombardo nasce ad Arezzo il 16 aprile 1987. Dopo la maturità classica si laurea
in Scienze filosofiche a Firenze, lavora come curatrice, autrice di testi d’arte contemporanea
e cataloghi, quindi come giornalista, specializzandosi in gestione dei beni culturali. Attualmente insegna Storia e Filosofia presso un liceo e collabora con alcuni atenei come docente di Storia della filosofia contemporanea. Oltre a L’alunno ha pubblicato le raccolte poetiche La Visita (Giulio Perrone Editore, 2017), La Nevicata (Castelvecchi, 2017)
Solitudine di esistenze (Giulio Perrone Editore, 2018).
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Il branco

Il branco, novella d’esordio di Giulia Gibelli, è un racconto che ricrea un’atmosfera punteggiata di bagliori e voci lontane, antidoto al grigiore degli stereotipi. Mette in luce le cose solite e quelle che lasciamo sfuggire troppe volte, i sentieri abituali e quelli inesplorati, e li rende vividi e possibili con una specie di tenue conforto e nessuna pretesa. «Le lacrime» scrive l’autrice, «sono come una pioggia d’agosto che porta via l’afa dei pensieri. Bisogna vederlo, il mondo, attraverso quelle lenti salate, o non ci s’accorge di quanta bellezza si può scorgere levandole. D’altronde, è dalle ferite che entra la luce, e l’intelligenza è l’apertura più vicina agli organi emotivi». La protagonista del racconto, Aura, si muove con leggerezza invidiabile nello spazio di poche pagine. Ma quella leggerezza non è da prendere con sufficienza, poiché arriva al lettore con il gusto per l’ironia e un pensiero ben oliato: un incastro perfetto tra passato e presente, col futuro che occhieggia da una parte. Si leggono così le avventure di una donna giovanissima, si fanno progetti a lunga scadenza con lei, anche se fino a poco prima si avevano mille anni sulle spalle.

«Immagina, Aura, i vicoli gelidi sferzati dalla tramontana e gli alberi ischeletriti, e al calare della sera un fil di fumo che s’alza da ogni tetto, da ogni casa lavata dal sapone pallido della luna. Per essere felici basta cogliere l’essenza delle cose ed esserne grati. Chi balla da solo in quel bagno di bellezza impara il gioco della grazia, cade e non si ferisce».

A cura di Luisa Previtera e Nicoletta Prestifilippo, illustrazioni di Chiara Gibelli.

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Giulia Gibelli studia Scienze psicologiche. Con la novella Il branco, che sancisce il suo esordio nella narrativa, ha vinto l’Instant Young Book, primo classificato tra 626 testi esaminati.
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Edipo a Berlino

Edipo a Berlino è un romanzo-epopea di Francesca Veltri, ricercatore di Sociologia Politica presso l’Università della Calabria. Karl, un giovane nazista, vede capovolta la sua esistenza da un fatto di sangue di cui è protagonista, e dalla scoperta di avere origini ebraiche. Sperimenta così su di sé la lacera­zione fra passato e presente, identità e menzogna,
vittima e carnefice. Un racconto corale che espone a conflitti di idee e di valori,
e riscrive la tragedia antica di un mondo che si sfalda, il dolore degli affetti perduti,
il senso di una Storia che si apre verso un futuro diverso.

«Prima che potesse capire cosa stesse succedendo, lo sospinsero dentro. Balbettò
che doveva prendere il treno, gli dissero che sapevano loro cosa fare, chiusero
lo sportello e la camionetta ripartì. Dentro era buio, i finestrini erano oscurati.
Chiuse gli occhi, strizzandoli, ed ebbe la visione confusa di un cieco,
vertiginoso turbinio intorno a sé. Si abbandonò al moto della camionetta,
gli occhi fissi in un punto indefinito sopra di lui, assorti a cercare quello che non c’era,
il futuro che non conoscevano, le immagini di un tempo che non ricordavano più».

Con un approfondimento critico di Alessandra Lorini

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Francesca Veltri, nasce a Pisa il 16 ottobre del 1976, è ricercatore di Sociologia Politica presso l’Università della Calabria. Ha pubblicato per la casa editrice Rubbettino due saggi sul pensiero di Simone Weil e il dibattito politico francese fra le due guerre, e nel 2017 è stata coautrice del testo Il Movimento nella Rete (Rosenberg & Sellier). È membro dell’Association pour l’étude de la pensée de Simone Weil, e dell’Associazione Italiana di Sociologia (AIS). Finalista al premio Calvino nel 2002 con il romanzo Davide era stanco, nel 2015 arriva al 2° posto al concorso letterario La Giara RAI, e nel 2016 pubblica con RAI ERI, in formato digitale, Edipo a Berlino, che Divergenze propone per la prima volta in volume.
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Il volume, realizzato in cartoncino ecologico e carta interna bulk ad effetto vintage,
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Goyescas

Goyescas è il romanzo rivelazione di Francesca Maria Villani,
pianista formatasi al Conservatorio “Nino Rota” di Monopoli, definito dalla critica
«una delle dieci opere fondamentali per capire la poetica del sud Italia».
Strutturato in undici capitoli, il racconto dipinge con una scrittura ad alto tasso emotivo il frammento di vita di una giovane donna di ritorno nel paese natale, per un tempo che le permette di comprendere ciò che non aveva avuto modo di focalizzare. Nell’avvicendarsi di presente e passato si mescolano tradizioni e vicende di un borgo dell’entroterra pugliese: ogni scorcio è il pretesto per un tuffo negli incantesimi del territorio, tra figure di un mondo che sembra svanito appena ieri e dove amori, delusioni, beffe e incidenti si rivelano nella loro lirica semplicità. La protagonista si muove tra le vie del paese ascoltando e narrando a sua volta fiabe e aneddoti, mentre cerca sé stessa e la musica che crede di avere abbandonato. Un libro di conoscenza e di rara eleganza intellettuale.

«Certi amori non muoiono. Anche quando pare che si allontanino, quasi sempre per un nostro capriccio, possiamo solo illuderci che facciano male, ma non operano mai per sottrazione: la felicità non è matematica, è empatia».

Apparato critico e postfazione di Marco Proietti Mancini

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Francesca Maria Villani nasce a Manduria nel 1999 e vive a Carosino, in provincia di Taranto. Inizia lo studio del pianoforte all’età di cinque anni. A nove viene ammessa al Conservatorio “Nino Rota” di Monopoli, nella classe del maestro Benedetto Lupo, che la seguirà fino all’VIII anno. Si diploma con il massimo dei voti e la lode nel marzo 2018, sotto la guida del maestro Carlo Gallo. Ha eseguito con l’orchestra del Conservatorio il Konzerstuck op. 92 di Schumann e il secondo concerto di Beethoven, suonando anche per l’Eurorchestra di Bari e per l’Agimus – sezione Roma. Vincitrice di numerosi concorsi nazionali e internazionali, ha ricevuto il Premio Speciale Bach per la migliore esecuzione di un pezzo del compositore tedesco, quindi il primo premio al GrandPrize Virtuoso 2016, e selezionata fra i vari partecipanti ha suonato alla Royal Albert Hall di Londra. Ha frequentato come allieva le masterclass dei maestri Burato, Marvulli, Thiollier, Ferrati, Rivera, Delle Vigne.
È iscritta alla facoltà di Filosofia all’ateneo di Bari.
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La rivoluzione, forse domani

La rivoluzione, forse domani è la trascrizione di un manoscritto autografo, ritrovato
in circostanze fortunose, un incantesimo che unisce una storia d’amore e di umanità
in tempo di guerra, l’inno appassionato per una terra e una vicenda di resistenza
prima della Resistenza
, firmata da un’autrice coltissima e misteriosa.
Una novella di valore storico e sociale incalcolabile.

È nel lembo di terra fra Costa de’ Nobili e Zenevredo, due borghi divisi da un ponte di barche tra i salici sul fiume Po e i primi rilievi dell’appennino, che si consuma la vicenda narrata. Vicenda che si apre in un clima campagnolo, quasi georgico, e pur entrando subito nel climax del conflitto attraverso i dialoghi d’un gruppo di vignaioli e l’anziano signor Balossi, per due capitoli descrive la nascita di un legame amoroso tra il Michele – con l’articolo davanti –
e Melania, una delle figlie gemelle della perpetua di un parroco della zona. Ma è anche
e soprattutto un documento che testimonia una forma di Resistenza in un periodo in cui parecchia stampa era allineata, i dissidenti erano molti meno rispetto ad un paio d’anni dopo, e parte di quella dissidenza non era viva nella popolazione, se non attraverso forme improvvisate come quella del Michele e della sua cerchia d’amici. L’autrice, ex insegnante, padrona di almeno quattro lingue, ha una profonda conoscenza delle dinamiche letterarie
e unisce linguaggio dialettale e passaggi di notevole finezza che ad ogni rilettura
trasmettono qualcosa in più: grandi e piccole illuminazioni, delicati scorci emotivi
e un tono fatale in cui muove gli uomini sul palco della II Guerra Mondiale,
visto da chi l’ha vissuta sulla pelle, nei visceri e nello spirito.

– Apparato critico di Chiara Solerio, postfazione del filosofo Marco Vagnozzi –

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L’indebolimento dei legami umani

L’indebolimento dei legami umani, ovvero come la competizione ha progressivamente ridotto la solidarietà, plaquette fuori collana in tiratura limitata, è un saggio breve ma illuminante su come la società dei consumi, con l’illusione del progresso,
va allontanando tra loro gli uomini, e come l’inganno della lotta per il benessere
stia minando alle basi il concetto di comunità. Una problematica quanto mai attuale
di cui si evidenziano e discutono cause, manifestazioni e rimedi.

«Competere è diventato un fatto di quantità, di ramificazione distributiva e di efficacia
dei messaggi pubblicitari da parte dell’industria, per spartirsi il cliente disposto ad annullare
le sfide personali pur di avere l’utopia della comodità. Una comodità scontata
solo sui cartellini, ma pagata a un prezzo sociale altissimo».

Postfazione e apparato critico del filosofo Marco Vagnozzi.

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Laura Martignani nasce il 5 ottobre del 1998 a Bologna. Nella terra del buon cibo, legami e sentimenti, scopre la vocazione per la scrittura nei tempi sospetti del diario segreto. Dopo un’infanzia e un’adolescenza trascorse tra la città natale e Ferrara, frequenta il liceo Carducci nella capitale degli estensi, quindi si iscrive all’ateneo di Verona, dove studia Lingue per il Commercio Internazionale. Inglese, russo e cinese, perché l’idioma del sol levante fa parte di lei da quando ne ha scoperto il fascino, vivendo il IV anno di liceo nella patria dei ravioli a vapore. Nemmeno laggiù ha smesso di scrivere: fossero appunti da block notes o una nota sullo smartphone, ha sentito il bisogno di salvare ogni pensiero o vicenda.
A un paio d’anni dal rientro in Italia ha raccolto l’esperienza emotiva in un articolo,
dal titolo Come ti disintegro i pregiudizi sulla Cina, pubblicato sul magazine Kultural.
Non sa cosa farà da grande, tranne che andrà incontro a tutto con serena curiosità.
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Un tranquillo pavido di provincia

Un tranquillo pavido di provincia è un racconto dallo stile immediato, che dietro a una apparente leggerezza propone temi e domande su cui è difficile non interrogarsi. Del resto vivere è un mestiere difficile; per questo Enrico, animo dai pensieri incerti, lascia decidere gli eventi per lui, finché uno di essi lo pone di fronte alla scelta più drastica. Con una scrittura trasparente, Lucio Basile affida al caso il compito di mettere pace al viaggio di un uomo che guarda il mondo con gli occhi estranei ad ogni certezza.

«Non vorrei prendermi per il culo, che è uno degli accessori più delicati.
Vivere sapendo di dover morire è una tesi incontestabile, tutto dipende
dalla maniera in cui viene la consolazione».

Postfazione di Nicoletta Leva. Con una nota di Pierangelo Miani.

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Lucio Basile, abruzzese di Moscufo non ha mai capito se gli sarebbe piaciuto più
essere un pediatra o uno scrittore. In attesa di dirimere il dubbio fa entrambe le cose,
e ringrazia tutti per la stima. È autore di racconti e casi clinici romanzati,
che pubblica su riviste di settore: non li preferisce ai romanzi, sono solo meno faticosi.
Frequenta, con alterni profitti, la scuola di scrittura Macondo di Pescara.
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Verso il mistero

Verso il mistero è una raccolta di sei novelle pubblicata nel 1904 e baciata, a suo tempo, come tutte le opere di Cordelia, da un grande consenso di pubblico e di critica. I due racconti scelti e riproposti hanno una prosa musicale e immediata che percorre le tenebre e i prodigi della mente umana, fra il dolore e la pietà. Alla letterata ottocentesca si accorda una tendenza romantica di natura sociale, la predilezione per la virulenza e il dominio dei sentimenti, che tratteggia nella quotidianità dei borghesi e del popolino su cui innesta la gemma del mistero. Fa capo la sfera, allora in fase pionieristica, della psicanalisi. Con un tocco fiabesco l’autrice turba gli animi e le convenzioni, e tutti i personaggi vanno verso
le zone d’ombra o di luce del loro destino con un realismo dolcemente esistenziale.

«Difficile,» affermò Sem Benelli, in una delle sue taglienti note del tempo,
«non cader nella trappola di questa fattucchiera delle lettere».

Apparato critico a cura di Silvia Sbaffoni, postfazione di Nicoletta Prestifilippo.

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Cordelia, nome d’arte di Virginia Tedeschi, nasce a Verona nel 1849. A contatto con le Lettere fin da piccola grazie a precettori prestigiosi, dal 1879 pubblica manuali, romanzi, raccolte di novelle e soprattutto narrativa per ragazzi, diventando presto la “Signora delle fiabe” italiana. Il suo Piccoli eroi arriva alla sessantaduesima edizione. Per conto della casa editrice Treves si occupa di varie riviste di settore, di moda e per l’infanzia, tra cui il celebre periodico Margherita. Presidentessa del Comitato lombardo pro suffragio femminile,
co-fondatrice del Lyceum di Milano, istituto nato per incoraggiare le donne
agli studi e alle opere artistiche, scientifiche e umanitarie, non esita ad affidare
ai protagonisti delle sue avventure ruoli in forte anticipo sui tempi.

Contemporanea di Ibsen, di Flaubert, di Zola e Dostoevskij; nel suo salotto letterario accoglie i massimi autori e intellettuali del tempo, da Verga a D’Annunzio, da Carducci a Freud. È fra le prime donne a parlare di divorzio, di psicanalisi, di diritto all’istruzione; nel 1916 scrive il manifesto del femminismo tricolore e muore, a Milano, poco più tardi.
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