Tag Archivio per: Angela Di Maso

Brutta

Brutta è il dramma in un atto di Angela Di Maso in cui una parola a sorpresa,
o forse non del tutto, può stravolgere il corso di un matrimonio. Perché marito e moglie,
una sera come tante, al tavolo di un locale, stravolgono le convenzioni e cominciano
un gioco al massacro fatto di allusioni, sarcasmi ed accuse affilate come bisturi,
pronti a recidere agli organi vitali il loro legame. E l’autrice, in un crescendo di tensione,
tra paradossi e rovesciamenti di senso, denuda i personaggi degli abiti buoni e conformisti
fino a mostrarli in preda ai démoni dell’incomunicabilità, del sesso, della violenza emotiva.
Donna: «Ho avuto paura di farmi male, ma poi ho provato a immaginare di essere già vecchia e quasi morta, piena di rimpianti. So come ci si sente a tremare prima di toccare qualcuno. Un desiderio così acuto che è diventato disperazione».
Uomo: «Non voglio toccare con paura chi ho toccato con amore».
L’uomo lascia la presa. La donna si risiede.
Donna: «Quello che sto per dirti sono consapevole che ti ferirà a morte.
Ma sei stato tu a chiedermelo».

– A cura di Annachiara Monaco –

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Angela Di Maso nasce a Napoli, si laurea in Filosofia ed è giornalista e musicista specializzata in Semiotica, canto e direzione di musica gregoriana. Alla attività concertistica affianca quella di drammaturga e regista teatrale e collabora con la Fondazione musicale
Pietà dei Turchini; è inoltre cultore della materia presso la cattedra di Storia del teatro
e Discipline dello spettacolo nel dipartimento di studi umanistici dell’università federiciana,
e docente di Storia della musica e di Melodramma alla LUETEC.

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L’attimo di Bernini

L’attimo di Bernini è parte di una quadrilogia di testi teatrali su grandi artisti del passato che tuttora rappresentano, ciascuno a proprio modo, una avanguardia. E il palcoscenico è quello di Roma, 1680. L’anziano Gian Lorenzo Bernini riceve la visita di una donna che chiede di essere ritratta. Ma nel dialogo la giovane pare conoscere molto dell’artista, e con modi languidi e decisi lo porta a indagare una parte di sé delicata, probabilmente la più fragile.
«Sono tornato a vedere la mia Dafne qualche tempo fa. Avevo poco più di vent’anni
quando la cavai dal marmo della cava del Polvaccio. Rivedendola dopo tanti anni,
non ho potuto fare a meno di pensare quanto poco profitto ho fatto io nell’arte,
mentre da giovane maneggiavo il marmo in quel modo».

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Carlo Longo vive e lavora a Roma.
Per il cinema ha scritto soggetto e sceneggiatura di lungometraggi come Neverlake,
Otzi and the mistery of time e Lucania. Nel 2014 ha vinto il Premio Luigi Malerba
per la migliore sceneggiatura con Paolina, storia della ribelle e bellissima sorella
di Napoleone Bonaparte. Questo testo teatrale fa parte di una quadrilogia su artisti
che comprende La zattera di Géricault, L’origine di Courbet e Edmonia Black Marble.

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La guerra dell’acqua

La guerra dell’acqua è uno specchio dei nostri tempi, un atto di denuncia nel quale si riflettono le cronache della vita reale. David Manzoni affronta un tema quanto mai insolito per il teatro: l’avanzare della fine degli uomini con la scomparsa dell’elemento dal quale ha origine la vita. La storia si svolge in un futuro prossimo, che sappiamo es­sere dietro l’angolo, e mette di fronte un trafficone del Ministero, i comitati in difesa dell’acqua e Yambo, un giornalista con il vizio della verità a tutti i costi. E costui si adopera, proprio come acqua, per spegnere il falò della vanità dei corrotti e smontare il castello di menzogne del potere. La satira di Manzoni è impietosa, mai volgare, raffinata; il sentore di crudo realismo la rende ancora più dirompente, e anticipa un colpo di scena finale da grande maestro del teatro.
Un testo fondamentale per chi ha a cuore la battaglia per l’ecosistema.

– Apparato critico di Francesca Benazzi e Angela Di Maso –

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David Manzoni è nato e vive a Genova. Educatore, animatore nei quartieri ad alto rischio
di devianza, si occupa di ragazzi e famiglie in difficoltà in una cooperativa sociale.
Noto per I provinciali (2017), uno dei migliori racconti del nuovo millennio, esordisce
nella drammaturgia con un’opera di urgente attualità che ha già il sapore di un classico.

L’uomo che incontrò se stesso

L’uomo che incontrò se stesso è la commedia che ha consacrato Luigi Antonelli nella stretta cerchia dei monumenti del teatro italiano. Rappresentata per la prima volta il 23 maggio del 1918 al teatro Olympia di Milano, è l’avventura fiabesca e ironica di un uomo, Luciano de Garbines, a cui è data l’occasione di rimediare a una cantonata coniugale di vent’anni prima. Ma il sangue, sovente, fa ripetere gli sbagli, e rischia di viziare anche il senno di poi, che sposa a meraviglia il romanzesco con il reale, trasformando la fantasia in un gioco di beffe e di sentimenti quanto mai concreto. In questa suggestiva confluenza l’amor sacro e l’amore profano si accavallano, in una vicenda che fotografa in modo folgorante l’animo umano: «Ancora io non riesco a persuadere quell’uomo che la moglie l’inganna! Sapevo che avrei dovuto faticare, perché è da un bel pezzo che ci conosciamo, io e lui, però non avrei mai creduto di dover lottare contro un individuo simile! Quan­do poi penso che infine si tratta di persuadere me stesso, mi domando se si può essere più bestia di così». Riuscirà,
il protagonista, a convincere il suo doppio a correggere gli errori di un tempo, oppure l’esperienza si rivelerà anch’essa un’illusione, forse la più terribile di tutte? L’originale provocazione contenuta ne L’uomo che incontrò se stesso piacque a Gramsci: «Questa fine satira della vita ha stupito il pubblico a cui, da tempo, non si ammanniscono lavori atti a sviluppare un pensiero» che riconobbe gli intenti dell’autore, per il quale ogni «piccola vicenda deve aprire un mondo dinanzi agli occhi dello spettatore». E nell’opera il registro fantastico è stemperato dall’ironia: dai lividi toni del primo atto si scivola nella pochade
e nella farsa, a loro volta annegate in un lucido, disperato disincanto. Una commedia
che mette in dubbio l’esperienza e costringe a interrogarsi sul peso effettivo
di essa nel destino, in un nuovo modello drammatico e antropologico.

Apparato critico a cura di Francesca Benazzi ed Angela Di Maso

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Luigi Antonelli nasce nel 1877 a Castilenti, una piccola frazione del comune di Atri in provincia di Teramo, compie studi regolari e corona il percorso frequentando i corsi di Medicina e Lettere presso l’università di Firenze. Insieme al pittore Basilio Cascella fonda “L’illustrazione abruzzese”, ed entra in contatto con alcuni degli autori e intellettuali più in voga dell’epoca, su tutti il conterraneo d’Annunzio; quindi si trasferisce in Argentina per alcuni anni, occupandosi di giornalismo. Giornalista e narratore, è stato uno dei commediografi che nel primo Novecento cambiarono il linguaggio del teatro italiano. Fedele ai princìpi del grottesco, contribuì a far recepire il messaggio pirandelliano fra essere e apparire con un’amara, fantasiosa satira delle illusioni. Fondatore de “L’illustrazione abruzzese”, direttore de “La patria degli italiani” a Buenos Aires, collaborò con le maggiori riviste drammaturgiche fra le due guerre mondiali. Nel 1931 divenne critico teatrale del “Giornale d’Italia”, ruolo che ricoprì fino alla morte. Oltre a L’uomo che incontrò se stesso firmò altre opere di grande successo come Il maestro, la farsa Il barone di Corbò, divenuta poi un film, La donna in vetrina, e la commedia allegorica L’isola delle scimmie. Il successo continuerà a baciare i lavori dell’autore abruzzese finché avrà vita. Il 21 novembre 1942, quando spirò, nella amata Pescara, la sua opera più famosa raccoglieva l’ennesima messe di applausi e consensi al Teatrul Național din București
(teatro Nazionale di Bucarest) completamente esaurito per l’evento.

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Il volume, realizzato su cartoncino ecologico e carta interna extralusso,
è in tutte le librerie, negli store online, oppure acquistabile sul sito della casa editrice,
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di copie numerate con inchiostro naturale, senza spese di spedizione.