GEMELLI
Eguali. Come fare per manipolare le possibilità? Non si manipola la storia, essa accade noi volendo, noi piacendo, o tutto il contrario. Abdicare dunque? Impossibile. Anche facendolo, avremo agito. Siamo in trappola. Qualcuno ci tiri fuori dal viluppo, come fossimo baroni sparuti e a Munchhausen caduti.
Ci verrà in aiuto un’intelligenza esterna. Che ci dia un appiglio a cui tenerci, o meglio un ciglio su cui attardarci, con fare umano e al contempo vibrante di limitatezza. Anche se lei non la vorremmo più. Ci abbiamo convissuto per tanto tempo, e ora che ci viene prospettata una qualche differenza vogliamo l’illimitatezza. Siamo quasi confortati dal sapere che non ci sarà necessario avvalerci di un’intelligenza esterna. Una qualche fonte di verità, di sorgiva morale, di appropriatezza culturale. Siamo ormai immuni da queste dipendenze. L’intelligenza sta nel gemello. Digital twin.
Una fotografia? Una cosa simile, ma molto più sofisticata. All’occhio umano le forme di interdipendenza fra ciò che accade qui ed ora e ciò che accade là e adesso non si danno, non le vediamo. Anche se siamo appena usciti da una shocking therapy che ha consistito nel vivere la inedita e ad oggi non riflessa esperienza di essere orientati e informati con dati e informazioni che erano il precipitato – puro? – del pulviscolo di miriadi di agire che accadono senza che noi nulla possiamo. Vedere l’insieme, del resto, è possibile. Estrapolarne le regole è facile. Ma se da un lato siamo confortati dalla capacità di non dover «fare di conto», possiamo esserlo dalla capacità (in realtà scelta deliberata) di non dovere rendere di conto?
Insomma: in che modo ciò che accade ci aiuta nel trovare una nuova grammatica per costruire norme che siano così prossime al nostro cuore universalizzato dall’esperienza di essere stranieri ovunque, a partire da casa nostra? Ebbene: si può essendo gemelli, e diversi. In fondo due più due non è equivocabile nel risultato, anche se ci manca il “metro per misurare la vita”. Perché per quanto la filigrana dei gemelli sia fine, sentiamo di essere in mancanza di qualcosa. Come si potrebbe, dunque, «fare futuro» senza le componenti di empatia inaccessibili a un ingranaggio meccanico?
«Fare futuro» non è solo manipolare variabili mediante congegni, input o parole chiave. Non si tratta neppure di aggiustare il sistema immaginando che il battito di ali di un cigno, qui ed ora, avrà ripercussioni nei fotogrammi – e perciò nei destini – del domani. Semmai, l’apocalisse è una certezza quanto più continuiamo la guerra tra noi e l’accettazione dei limiti. È opportuno smettere di raccontarci storie fasulle o edulcorate per il piacere di correre appresso alle parole chiave del momento sociale, utilizzandole in maniera strumentale per lucro o convenienza, pur consapevoli di quanto guastino la realtà.
Eppure la bellezza delle cose pratiche, semplici, cioè poetiche e veramente plurali, sarebbe di facile accesso. La bellezza della collettività nell’epoca dell’ego genera armonia anziché frizioni, azzera la competitività fonte di squilibri, prevaricazioni e dissidi, rompe le gabbie-vetrine in cui è esposto l’individuo celebrato nella santa messa dell’ego, esalta l’identità di un gruppo per dare a ciascun elemento del gruppo l’identità autentica, civile, del singolo. Dunque la bellezza della comunità come luogo di forma e sostanza, come idea anziché ideale, è armonia.
Se invece l’immagine che ci viene trasmessa dalla rappresentazione della complessità non si fa trama leggibile, ma rimane furberia priva di ritmo adeguato alle «cose umane» eccola perdere, e far perdere, la rotta. Secoli di storia parlano chiaro, e da quella storia è bene trarre lezioni: è la sua funzione primaria e più sublime. Storia come senso del concreto e come arte, come musica della quale imparare a leggere lo spartito e poterlo suonare davvero per tutti. Solamente così il mondo sarà terra sul serio: terra madre di gemelli anche diversi nei gesti ma identici in spirito, che camminano assieme per «fare futuro».
Daniela Piana