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Gelosia

Gelosia è il romanzo che meglio di ogni altro rappresenta la transizione dal Verismo
ai movimenti antiletterari del primo Novecento. Eppure ad Alfredo Oriani è riuscita, controvoglia, un’impresa unica: essere al di fuori di qualunque gruppo, salotto, corrente letteraria, benché fra gli autori più letti del suo tempo. Provocatorio, irriverente, bollato dalla critica come scandaloso, nell’ultimo decennio dell’Ottocento firmò opere di grande valore. Gelosia, nel 1894, inaugura la serie con il drammatico racconto
di uno squallido amore provinciale, metafora di un vivere borghese
e di un complesso di fragilità tuttora attuale.
«Nella sua affezione per l’avvocato non aveva ancora provato nessuno di quei trasporti deliranti, che sono quasi sempre per la donna la scoperta di se medesima.
Ma qualche cosa dormiva sotto la sua fiorente gioventù, una bramosia
di godimenti sconosciuti, un bisogno a grado a grado meno inconsapevole
di entrare nella zona torrida della passione,
ove le vite si distruggono alla fiamma di un altro sole,
o n’escono così temprate che nulla può quindi corroderle».

– Apparato critico a cura di Alessandro Gaudio –

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Alfredo Oriani (Faenza, 1852 – Casola Valsenio, 1909), narratore, saggista e collaboratore del “Corriere della Sera”, “La stampa”, “L’alba” e il “Giornale d’Italia”, è fra i grandi misconosciuti del secondo Ottocento italiano. Si laurea in Giurisprudenza a Napoli, ma sceglie la vita delle Lettere. Dopo una lunga fase di romanzi e novelle messi all’indice e ignorati, con Gelosia (1894), La disfatta (1896), Vortice (1899) e Olocausto (1902)
viene accolto dalla critica con favore più largo, prima d’essere strumentalizzato dal fascismo
e tornare in un oblio a cui è ora di togliere il velo.

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Necessità del romanzo

Più che un genere letterario, nel romanzo c’è una disposizione che consente di fare fronte alle questioni civili. Si medita o si riflette sul caos, sul vuoto e le angosce di un eterno presente nel quale l’homo consumens è vittima dell’imperativo di un desiderio mai soddisfatto, della vacuità futile e tossica dell’industria. Tra impegno politico e letterario, pensiero critico e reazione alle tragedie del liberismo, il romanzo attiva autocritica, coscienza e comprensione, liquidando le ambiguità della zona in cui siamo ciò che viviamo. «Nel romanzo» infatti, spiega l’autore, «si può comprendere la propria esistenza: l’atto di raccontare riporta alla luce ciò che altrimenti sarebbe dimenticato e perduto.
In questo modo il romanzo è occasione di riflessioni che sottraggono al ristagno la coscienza;
è disvelamento del soggetto, dell’oggetto, e del sistema che li lega».

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Alessandro Gaudio insegna Letteratura italiana contemporanea all’Università della Calabria.
È membro del comitato scientifico della «Rivista di Studi Italiani», di «Diacritica»
e di «Capoverso»; collabora con «Il Ponte», «Lingua Nostra», «Incroci», «Poetiche»,
«In Limine» ed altre prestigiose riviste di settore. Tra le sue pubblicazioni si segnalano
Morselli antimoderno (Sciascia, 2011), Il romanzo del Sud (Giulio Perrone, 2017)
e Gli anelli di Saturno (Diacritica Edizioni, 2020). All’attività di studioso affianca
l’esigenza di analizzare e contrastare i meccanismi psichici, sociali e politici del capitalismo.

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