Idillio fra le tenebre

Idillio fra le tenebre è la terza parte del romanzo d’appendice che il principe dei nottambuli, Pierangelo Baratono, pubblicò sullo storico quotidiano genovese “Il lavoro”, nato «per volontà del proletariato organizzato», nelle cui pagine l’autore non si limita a ritrarre il quadro sociale del proprio tempo, ma compie una riflessione sulla chimera accecante del potere. Tutto, in una Genova torbida e lucente di ambiguità, fra bettole e saloni patrizi, dove tre vite incrociano i loro destini nell’eterna lotta fra il bene e il male.
«C’era messa bassa, quel mattino. Qualche vecchia occupava i banchi, intenta alla preghiera. Il prete officiava, rattenendo lo sbadiglio e dando di tempo in tempo qualche pizzicotto al chierico trop­po distratto. I due si avvicinarono l’uno all’altro dietro un confessionale vuoto. Nel monotono stridore della voce del sacerdote il loro bisbiglio si udiva appena. Bonci cominciò: — Grazie Anna, per essere venuta. Voi non sapete tutto il bene che mi avete fatto».

– A cura di Luisa Campedelli –

Pierangelo Baratono (1880-1927), giornalista, scrittore e funzionario delle Poste, nasce a Roma, ma il suo nome è legato alla città di Genova. Critico letterario per “Il lavoro”, redattore della rivista di lettere, arte e scienza “Vita nova”, collabora con “La Riviera ligure”, con il mensile “La gazzetta di Genova”, con “La Liguria illustrata” e altri periodici, ma soprattutto è il signore delle ombre, il maudit sedentario che anima il Caffè Roma, alcova degli intellettuali del tempo. Amico e compagno di eccessi di Camillo Sbarbaro, è «il più francese degli autori italiani d’inizio Novecento». Idillio fra le tenebre è la terza parte, autonoma, di Genova misteriosa, scene di costumi locali, pubblicato su “Il lavoro” fra il 1903 e il 1904.
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Augeo | dialoghi di scienze umane, I

Il primo numero di Augeo | dialoghi di scienze umane contiene un seminario a cura di Manuela Bianchi, Ignazio Li­cata, Lore­dana Lo Bianco, Marco Vagnozzi e Francesca Veltri sull’intervento di Adolfo Levi al Congrès Descartes di Parigi, il giorno 5 agosto 1937, dal titolo I rapporti tra la filosofia e la scienza nel pensiero contemporaneo. Nella propria riflessione l’autore spie­ga che la filosofia può insegnare al­la scienza che valore di og­gettività può accordare alle sue co­stru­­zioni, ma deve im­pa­rare dalla scienza a critica­re i princìpi o le proposizio­ni che ha am­messi senza un esame sufficiente. La tavola rotonda non è quindi una sterile dicotomia, ma una discussione ad ampio raggio anche alla luce della attualità, e mette in luce in che modo, la filosofia e la scienza come approccio spirituale e materiale, possa­no integrarsi per dare al genere umano ciò che è necessario ed essenziale. 
«Scriveva Ginsberg che “solo lo scienziato è vero poeta: ci dà la luna, ci promette le stelle, ci farà un nuovo universo se sarà il caso”. Non sarà così, e nemmeno può esserlo, ma lo spirito non dovrebbe essere troppo diverso. Ai filosofi il compito di dare consistenza ai futuri possibili, e di spiegarci come siamo caduti così rapidamente
in un Medioevo ad alta virtualizzazione».

– A cura di Massimo Rovati e Monica Cerri | Responsabile di edizione Antonina Nocera –

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Gli atti del convegno sono stampati con cura artigianale su carte pregiate e disponibili in tutte le librerie e nei maggiori store online, oppure in copia numerata alla pagina
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L’attimo di Bernini

L’attimo di Bernini è parte di una quadrilogia di testi teatrali su grandi artisti del passato che tuttora rappresentano, ciascuno a proprio modo, una avanguardia. E il palcoscenico è quello di Roma, 1680. L’anziano Gian Lorenzo Bernini riceve la visita di una donna che chiede di essere ritratta. Ma nel dialogo la giovane pare conoscere molto dell’artista, e con modi languidi e decisi lo porta a indagare una parte di sé delicata, probabilmente la più fragile.
«Sono tornato a vedere la mia Dafne qualche tempo fa. Avevo poco più di vent’anni
quando la cavai dal marmo della cava del Polvaccio. Rivedendola dopo tanti anni,
non ho potuto fare a meno di pensare quanto poco profitto ho fatto io nell’arte,
mentre da giovane maneggiavo il marmo in quel modo».

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Carlo Longo vive e lavora a Roma.
Per il cinema ha scritto soggetto e sceneggiatura di lungometraggi come Neverlake,
Otzi and the mistery of time e Lucania. Nel 2014 ha vinto il Premio Luigi Malerba
per la migliore sceneggiatura con Paolina, storia della ribelle e bellissima sorella
di Napoleone Bonaparte. Questo testo teatrale fa parte di una quadrilogia su artisti
che comprende La zattera di Géricault, L’origine di Courbet e Edmonia Black Marble.

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Le parole e il silenzio

La parola e il silenzio

La parola e il silenzio è un saggio breve, che induce a ragionare sul linguaggio del potere,
fra cattedrali metafisiche e slogan per dominare un cittadino ridotto a consumatore,
analizzato mediante gli strumenti che consentono di costruire un’alternativa:
l’arte, la scienza e la contemplazione.

«Se il linguaggio della politica coercitiva domi­na la molteplicità minandola alla base,
è nell’ar­te e nel linguaggio poetico l’humus dove la verità si rinnova. La poesia
riconduce la parola al­l’orizzonte limite. Qui l’etica condivisa e plurale
trova la sua dimensione, perché aperta ab origine all’altro».

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Andrea Comincini è nato ad Alghero, nel 1976.
Laureato in Filosofia presso l’Università degli Studi Roma Tre, ha conseguito un Ph.D.
in Italianistica all’University College Dublin, dove ha lavorato in qualità di Senior Tutor.
È stato Helm-Everett Fellow presso la Indiana University. Traduttore di opere di autori anglo-americani tra cui Bennett, Fitzgerald, Melville, ha scritto per Il Manifesto e collabora con varie riviste filosofiche e letterarie.

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Storia segreta

Secondo i lettori e gran parte della critica, Storia segreta sarebbe la novella più intima e profonda scritta da Cesare Pavese. La quale non è mai stata oggetto di un’analisi approfondita, in forma separata da quelle com­pre­se nella raccolta Feria dagosto (1945), di cui rappresentava la chiusura. Eppure qui, nella campagna emblema dei ricordi e antidoto alle durezze del tempo adulto, un uomo dal fragile destino alter ego dell’autore ri­ve­de la figura di un padre che è tutti i padri, e grazie a una sirena di terraferma riflette sui valori che danno armonia con i propri impulsi e con quelli millenari del mondo «Dappertutto, sulle coste, sulle creste dei paesi, ci sono chiese e masse d’alberi impicciolite nella distanza. Dentro, la luce è colora­ta, il cielo tace; e donne come la Sandiana ci stanno in ginocchio e si segnano, qualcuna c’è sempre. Se u­na vetrata della volta si è schiusa, si sente un soffio
di cie­lo più caldo, qualcosa di vivo, che sono le piante, i sa­­pori, le nuvole».

– A cura di Roberta Bellantuono –

Cesare Pavese nasce a Santo Stefano Belbo il 9 settembre 1908. Si laurea in Lettere, insegna per qualche tem­po, poi inizia a tradurre autori inglesi ed americani, e a collaborare con la casa editrice Einaudi, di cui diventa una delle figure principali. Autore di romanzi, racconti, poesie, saggi, articoli e prose filosofiche, esordisce nel mondo letterario con Paesi tuoi (1941) e diventa uno dei maggiori intellettuali del Novecento italiano.
Scompare a Torino, suicida, nel 1950.

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Canti e disincanti

Canti e disincanti è un saggio che indaga, fra ipotesi e intuizioni intriganti, il territorio poetico in comune a Eugenio Montale e Fabrizio De André. Un incontro che narra di una musicalità inaspettata, scorta fra parole e note, e l’avventura di un’umanità capace di brillare pure in assenza di luce. Del resto «la méta del lavoro montaliano è l’analisi della condizione umana attraverso l’arte, strumento di ricerca di una verità resa impossibile dalla realtà storica. Al tempo stesso, De André parte da storie vere e quotidiane per cantare lo stato in cui vivono le minoranze, e con uno sguardo più ampio l’umanità intera. Entrambi guardano il reale come un luogo di contraddizioni insolubili, offrendo a lettori e ascoltatori mai risposte, ma domande. Si pongono in una prospettiva interna che predilige la dimensione dell’indistinto, e anziché il facile rifugio in lezioni o soluzioni ipotizzate o suggerite, offrono un luogo,
un ritaglio per anime stropicciate, utopico e talvolta confortante».

– A cura di Lorenzo Campanella –

Carmen Lega è nata nel 1995 a Napoli e vive a Castel Volturno. Laureata in Letteratura Italiana Contemporanea presso l’università degli studi Federico II, collabora al seminario Scritture in transito: tra letteratura e cinema,
guidato dalla prof.ssa Silvia Acocella.

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Il pastore sepolto

Novella di lirica asprezza, Il pastore sepolto è ambientato nei latifondi in rovina di un meridione di antica civiltà, ma oppresso da un lungo abbandono. L’autore narra le conseguenze della lotta quotidiana di una famiglia che è simbolo di un popolo e di una terra intera, e lo fa con la poesia crudele della concretezza. Perché Jovine, pater familias degli iperrealisti, con uno dei più importanti racconti sulla questione meridionale, in un’atmosfera di tragedia e sortilegio, traccia l’anamnesi di un destino attuale in ogni tempo.
«Non vedevo, come gli inverni precedenti, allegri focolari, e non sentivo odore di vivande nei vicoli fradici di mota; dalle porte buie s’indovinavano i camini spenti.
Sulla bottega del barbiere e accanto all’ufficio del cassiere comunale c’erano grandi manifesti che rappresentavano bastimenti a vapore in mezzo al mare azzurro; sui fianchi delle grandi navi c’erano piccole imbarcazioni a remi cariche di signore velate e di uomini in cilindro.
Tutti i contadini di Guardialfiera volevano mettersi il cilindro
e andarsene per mare verso l’America azzurra».

– A cura di Michela Iannella –

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Francesco Jovine è stato uno dei più fini letterati del Novecento italiano. Nato nel 1902 a Guardialfiera, da un’umile famiglia molisana, fu maestro, assistente universitario e direttore didattico. Collaborò con numerosi giornali, animò la vita culturale di Roma insieme a Corrado Alvaro e Libero Bigiaretti, fondò il Sindacato Nazionale Scrittori e promosse dibattiti, conferenze e attività intellettuali.
Legato alla terra natale e alla sua poetica, vi ambientò Signora Ava (1942) e Le terre del sacramento (1950), due tra i romanzi più significativi dell’ultimo secolo. Il pastore sepolto, scritto nel 1945, è tratto dall’omonima raccolta di racconti.

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Il volume, realizzato su cartoncino Kraft silk screen di pura cellulosa ecologica e marcato a feltro, carta interna Arena Ivory Bulk extralusso a grammatura 140, è in tutte le librerie e nei maggiori store online, oppure in copia numerata e senza spese di spedizione, qui: https://divergenze.eu/prodotto/il-pastore-sepolto/

Il sonno delle Moire

Il sonno delle Moire è un’opera di rarefatto equilibrio fra classicismo ridisegnato e la modernità tipica delle vicende che i temi classici hanno sempre contenuto, anticipato e stigmatizzato. Questo perché le Moire di Giovanni Ferrari sono sì le dee del destino della mitologia greca, αἱ Μοῖραι che presie­dono ai momenti cardine della vita fra cui nascita, matrimonio e morte, ma la loro ineluttabilità pare una forza che frena il potere degli dèi finché gli dèi non si servono degli uomini.
Pastorello: «Ora so che cosa devo fare. Quando lo faccio?».
Araldo: «Questa sera stessa, al tramonto. Ti segnalerò il momento di entrare in azione. Eccoti la bottiglia, e qui ho anche il bicchiere. Ma mi raccomando: versane a ciascuna solo la quantità che occorre, un bicchiere appena e non di più. Non superare la dose, hai capito? Anche se dovessero chiederne ancora, tu non dargliene e aspetta che produca il suo effetto».
Pastorello: «Maestro, ho capito. E dopo, a cosa fatta, che accadrà?».
Araldo: «Dopo? Nulla accadrà, nulla. Come prima, così dopo. Nulla».

– Prefazione di Massimo Rovati –

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Giovanni Ferrari nasce a Parma nel 1970. Laureato in giurisprudenza e in filosofia, dottore di ricerca in antropologia e storia del mondo moderno e contemporaneo, è docente di scuola superiore. Poeta, narratore e drammaturgo, ha pubblicato: La concezione del soggetto in Ludwig Wittgenstein, in F. De Capitani (a cura di) “De philosophia numquam nimis”. Studi in onore di Angelo Marchesi, Franco Angeli, 2006, e Sette variazioni. Racconti, Narcissus, 2014.

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Il volume, realizzato su cartoncino Terrarossa di pura cellulosa ecologica e marcato a feltro, carta interna Arena Ivory Bulk extralusso a grammatura 140, sarà in tutte le librerie e nei maggiori store online dal 5 gennaio 2022, oppure da oggi stesso, in copia numerata
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Primo Levi e la coscienza poetica

Primo Levi e la coscienza poetica è un saggio che indaga la vocazione lirica dell’autore,
la scintilla che dà origine alle sue prose più celebri, analizzata nello spazio autonomo
che finora la critica non le ha dedicato. Perché certe parole
sono esperienze che è bene rimangano attuali in ogni tempo.
«Nei versi l’assenza, la tragedia, il monito, il rifiuto emergono incuranti di ogni tecnicismo, poiché frutto di un cammino individuale che prescinde dall’impegno dell’arte. E quanto più forte è il rapporto con i traumi interiori, tanto più Levi ricorre a quel linguaggio poetico particolare, la cui originalità è tutta in una metrica lontana da qualunque sudditanza estetica, priva com’è di manipolazioni o pirotecnie verbali, forte d’un impianto ora contratto ora teso, commosso, colloquiale, che ha l’urgenza e l’immediatezza del vivere».

– Con un saggio di Demetrio Paolin –

Elisa Occhipinti è nata a Torino nel 1988 e vive da diversi anni in Germania.
B.A. in italianistica e comparatistica, studia e lavora presso la Ruhr-Universität Bochum.
È caporedattrice del sito «Il Club del Libro» e cura il blog letterario «Marginalia».
Fa parte del direttivo della Società Dante Alighieri di Dortmund.
Ha pubblicato il romanzo E lucevan le stelle (Miraggi, 2018).

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Trilogia delle maschere

Dell’albero della conoscenza pirandelliano, la trilogia delle maschere è un gruppo di novelle in cui nulla è più vero delle apparenze. Sono infatti il luogo dove le maschere svelano la realtà dei volti che celano: il burocrate che d’un tratto esce dal ruolo di ingranaggio,
la donna per cui «io sono colei che mi si cre­de», lo iettatore che vuole costruire la fortuna sulla propria sventura, sono come fantasmi lontani da giudizi e condanne.
Come illusioni lungo il tempo eterno della letteratura.
«La povera figliuola mia deve fingere di non es­ser lei, ma un’altra, e anch’io sono obbligata a fin­ger­mi pazza credendo che la mia figliuola sia ancora viva. Mi costa poco, grazie a Dio, perché è là, la mia figliuola, sana e piena di vita; la vedo, le parlo; ma so­no condannata a non poter convivere con lei, e an­che a vederla e a parlarle da lontano, perché egli pos­sa credere, o fingere di credere che la mia figliuola, Dio liberi, è morta
e che questa che ha con sé è una seconda moglie».

– A cura di Eva Luna Mascolino –

Luigi Pirandello nasce nel 1867 a Girgenti, da una famiglia garibaldina e antiborbonica. Si laurea a Bonn in glottologia. L’anno dopo rientra in Italia, a Roma, e inizia a scrivere novelle e romanzi. Il successo arriva nel 1904 con Il fu Mattia Pascal, uscito a puntate su «Nuova Antologia». Nel 1908, con i saggi Arte e Scienza e L’umorismo ottiene la nomina a docente universitario di ruolo e dal 1909 collabora con il Corriere della sera. Dieci mesi più tardi esordisce nel teatro, al quale donerà alcune delle opere più celebri del Primo Novecento, tuttora attuali. Con il romanzo Sei personaggi in cerca d’autore (1921) raggiunge la fama mondiale, che troverà conferma nel successivo Uno, nessuno e centomila, nei trionfi della Compagnia del Teatro d’Arte di Roma da lui fondata e nella incessante attività di promozione culturale. Accademico d’Italia, nel 1934 riceve il premio Nobel per la letteratura.

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